Marco Palamidessi


L’arte di Daniela Giovannetti è una scrittura pittorica raffinatissima, che potremmo definire “concettuale”, che fa da testimone allo sposalizio, intimo e riservato, fra la poesia e l’intelletto. Animata dalla passione per il Bello e dalla ricerca dell’equilibrio compositivo assoluto – inteso come traguardo della perfezione artistica, con il fine non unico e mai secondario di offrire l’occasione di un godimento estetico puro -, in questa artista di primissima fila assistiamo all’estensione figurativa del silenzio come musica universale, come aurea percepibile, come manto metafisico intorno alle cose. Un realismo di rara complessità interpretativa è quello di Daniela Giovannetti, pittrice delle apparenze potentemente rivelate, pervase di quella particolare sospensione atmosferica che appartiene al mondo dei sogni. Per mezzo di un lento e meditato disvelarsi della pittura, della nitidezza di un parlato espressivo senza sbavature, capace d’inventare inaspettate relazioni tra gli oggetti rappresentati, Daniela Giovannetti si rende partecipe, superando il muto apparire degli elementi visibili, del colloquio fra le cose della natura. Queste ultime, complice una diafana luminescenza lunare, paiono sorgere dal vuoto retrostante, siano esse brocche, castelli di libri, finissime porcellane, cristalli di rocca, panneggi dai pizzi sontuosi, foglie, cartigli, frutti di stagione, fiori appena recisi o ritratti direttamente nel loro contesto naturalistico, spartiti musicali e via dicendo. Una delicatissima ritrattistica di forme solo in apparenza inanimate è quest’arte, fondata su di una sorta di “disponibilità” che gli oggetti hanno di farsi ritrarre. Sculture silenti, forti del loro essere e del loro stare, le cose sono monumenti mai fragili, presenze mai effimere, bloccate in eterno prima del loro inevitabile disfacimento materiale.

Le immagini trovano unitarietà in una figurazione cristallizzata in un tempo fuori dal tempo e in uno spazio più spirituale che fisico, che diviene silente proscenio di una rappresentazione simbolica, densa di mistero e di antiche suggestioni. Ogni dipinto è frutto di mesi di paziente lavoro, distillato di un mestiere profondamente posseduto, pienamente consapevole di quanto la sapienza manuale possa giovare alla versificazione pittorica.

Le immagini scaturiscono da una tecnica ben ponderata, da una non comune maestria che inizia dall’accuratissima preparazione dei supporti, che prosegue nei tracciati disegnativi, per poi giungere – passaggio dopo passaggio – alla gioia del risultato finale. Il tempo della pittura è scandito dalla meditata successione di velature: come un viso che emerge dal fondo di uno specchio, l’immagine di Daniela Giovannetti sorge dal lento sedimentarsi delle delicate sovrapposizioni cromatiche ad olio. Nei quadri le immagini accadono, come sorprendenti epifanie figurali. Quella di Daniela è una restituzione intensa e luminosa, attraverso la simulazione pittorica della realtà, del suo amore per il visibile, che da sempre le si para davanti come destino inevitabile, felicemente accettato con autentica devozione. La sua lunga esperienza artistica è stata fin da subito un misurarsi costante e coerente sì con il mezzo espressivo, ma anche e soprattutto con tutto ciò che si cela dietro e ben oltre il fattore meramente tecnico. Le opere pretendono infatti lo sforzo di un’indagine accurata, non fuggevole e distratta, che non si limiti al solo dato esteriore: richiedono una lettura per gradi, fatta di decifrazioni minime, oltre alla sicurezza di un occhio che sa e vuole indugiare sui dettagli e sugli insiemi. Solo così questa pittura ci porterà a sentire le sofisticate musicalità delle cose, semplici o lussuose, che appartengono alla vita di ogni giorno, troppo spesso mortificate dall’idea della loro apparente funzionalità e decoratività.

Gli elementi formali, gli oggetti e le cose si dispongono, in una sintassi lucida  e congrua all’occhio come alla mente, in una stupefacente resa di materie, di riverberi luministici, di trasparenze e di riflessi, di tonalità e impercettibili sfumature cromatiche. Un silenzio avvolge gli oggetti: il nitore quasi palpabile delle porcellane, le pieghe dei panneggi e l’atteggiamento dei libri-personaggi, i fregi dell’inchiostro sulle pergamene antiche, sono stimoli alla tattilità. L’oggetto allora diviene manifestazione di se stesso, della materia di cui è fatto, l’emanazione della propria tangibilità.

Daniela Giovannetti è un’artista che segue l’intimo bisogno di rappresentare le cose per come appaiono, per ciò che sono, nel dichiarato tentativo di coglierne l’altra entità, interiore e ben più nascosta di quella visibile. L’obiettivo a cui Daniela mira da sempre è qualcosa di più profondo, che non può e non deve limitarsi alla semplice riproduzione delle apparenze del reale: sono le emozioni, gli stati coscienziali, a presiedere agli effetti realistici dei dipinti. Nei suoi meravigliosi esiti pittorici, che riguardino soggetti naturali o gli oggetti del suo studio, stanze gonfie di vento o specchi d’acqua pieni di riflessi, l’artista annulla il tempo, lo anticipa, lo sorpassa, o addirittura lo ignora: la perfezione della sua arte sta tutta in questa sua attualità, in questo suo essere contemporanea a noi contemporanei. Un teatro, questa pittura, per le nostre vite, dove si porta in scena il dialogo silente – mai un monologo – fra noi, i luoghi e le cose di un mondo a sé. Oltre l’apparente mutismo degli oggetti, ricerchiamo l’esclusiva parlata con gli stessi, tentando ogni volta di ascoltare, non solo immaginandolo, l’alto colloquio che vive solo e soltanto fra loro.

I quadri di Daniela sono il palcoscenico di avvenimenti figurativi del tutto eccezionali: talvolta certi elementi vengono ingigantiti al punto di assumere, nelle proporzioni monumentali, un’emblematica iconicità, assegnando loro un ruolo che va ben oltre quello di semplice pretesto figurale per l’esibizione dei virtuosismi tecnici. Altrove, alcuni particolari vengono talmente ingranditi da mascherare totalmente l’oggetto a cui appartengono, a dimostrazione di come la realtà sia, per sua natura, materia assolutamente plasmabile. E, in generale e per tutta l’arte di Daniela, di come il massimo della figurazione diventi quasi un’astrazione.

Ben oltre l’alta definizione della perfezione visiva, l’atmosfera rarefatta ha ben poco a che fare con la diffusa moda “iperrealista” di provenienza statunitense, dove il colore ed il calore della vita risultano ibernati nell’artificiosità della simulazione fotografica. Questo percorso artistico non è pertanto ascrivibile ad ambiti strettamente iperrealisti, per quanto riguarda sia l’aspetto tecnico che l’origine dei contenuti. Quella che Daniela ci pone davanti è una realtà mai sfrontatamente fotografica, un algido replicante retinico, ma una specie di extra-realtà lirica, nobilitata dal complice ammiccamento dell’infingimento pittorico. Nelle inquadrature, la luce illumina le forme accendendole piano, spiovendo sugli oggetti fino a manifestarli in tutto il loro splendore. Una luce particolare, mai scintillante o divampante, che non agisce con lampi o inaspettate rivolte, ma che cala sugli oggetti, fieri e dignitosi come cavalieri antichi. L’artista permette alle forme di bagnarsi, d’intridersi, fisicamente e astrattamente, dell’unica luce che conta: la luce della vita. Ecco perché quella di Daniela Giovannetti è una natura che vive, oltre il tempo e la realtà delle cose stesse.

Troppo spesso delle cose scambiamo l’immobilità per l’assenza dell’anima, della vita dentro di esse. Chiamando in causa la morte, giustificandola magari come stato che presuppone la vita. Ecco da qui, nell’arte, l’equivoco secolare della “natura morta”. Nell’arte di Daniela la natura invece è viva. Mi viene in mente Proust, quando scrisse che “soltanto noi, col credere che abbiano una loro propria esistenza, attribuiamo a determinate cose che vediamo un’anima ch’esse poi conservano e sviluppano dentro di noi”. Gli oggetti, diceva il grande Robert Rauschenberg, possiedono uno spirito e la capacità di reincarnarsi. La natura non è mai morta: a volte, più semplicemente, se ne sta ferma, immobile, per la volontà che ha di farsi ritrarre. Si mette in posa, soltanto a chi sa domandarlo con l’umiltà e la devozione che servono da sempre alla causa della vera arte. La Natura è una dea, sopra le altre, che si offre nuda ai nostri occhi. Solo nel silenzio, in quel silenzio che si addice alla Bellezza, ecco che in quest’arte sentiremo scorrere, sotterraneo e manifesto, il sangue di una realtà sognata e sognante, ardentemente desiderata, di cose sottratte al tempo del corrompimento e donate al tempo senza clessidre della Pittura.


Marco Palamidessi, Lucca, Settembre 2012